Nel corso delle mie consuete sortite per il mondo dei bloggers ed in genere per la rete mi sono imbattuto in un certo numero di post e commenti interessanti.
Vorrei riproporvi un articolo di Umberto Eco del 2004 dal blog Voglio Scendere per introdurre un tema importante: quello del monopolio del mezzo televisivo come mezzo di propaganda e indottrinamento del popolo, vera forza fondante del regime berlusconiano (o veltrusconiano?) dei giorni nostri.
È vero, l'influsso di internet, dei giornali, delle radio è assolutamente marginale oggi. "Dicano quello che vogliono" - sembra essere il motto di Arcore - perché il loro peso sommato è comunque minimale.
Ma allora che fare per controbattere il sistema monopolizzato della TV di regime? Che fare?
Per ora vi lascio la domanda aperta, in attesa di tornarci su in uno dei miei prossimi post. Certo è che noi bloggers dobbiamo trovare il modo di venire fuori da questo mondo digitale incompleto. Perché la società reale è la fuori, la società reale non è qui dentro.
Buona lettura del magnifico, quanto lungo articolo di Umberto Eco.
Le regole del potere nel regime mediatico
Umberto Eco, Repubblica gennaio 2004
"Una settimana fa ricorreva il mio compleanno e, con gli intimi venuti a festeggiarmi, ho rievocato il giorno della mia nascita. Benché dotato di eccellente memoria, quel momento non lo ricordo, ma ho potuto ricostruirlo attraverso i racconti che me ne facevano i miei genitori.
Pare dunque che, quando il ginecologo mi ha estratto dal ventre di mia madre, fatte tutte le cose che si debbono fare in tali casi, e presentatole il mirabile risultato delle sue doglie, abbia esclamato: "Guardi che occhi, sembra il Duce!". La mia famiglia non era fascista, così come non era antifascista - come tanta della piccola borghesia italiana prendeva la dittatura come un fatto meteorologico, se piove si esce con l'ombrello - ma certamente per un padre e per una madre sentirsi dire che il neonato aveva gli occhi del Duce era una bella emozione.
Ora, fatto scettico dagli anni, inclino a credere che quel buon ginecologo dicesse la stessa cosa a ogni madre e a ogni padre - e guardandomi nello specchio mi scopro piuttosto simile a un grizzly che non al Duce, ma non importa. I miei erano stati felici di apprendere che assomigliassi al Duce. Mi chiedo che cosa potrebbe dire un ginecologo adulatore oggi a una puerpera. Che il prodotto della sua gestazione assomiglia a Berlusconi? La piomberebbe in uno stato depressivo preoccupante. Per par condicio, assumo che nessun ginecologo sensibile direbbe alla puerpera che suo figlio appare paffuto come Fassino, simpatico come Schifani, bello come La Russa, intelligente come Bossi, o fresco come Prodi. Il ginecologo avveduto direbbe piuttosto che il neonato ha gli occhi penetranti di Bruno Vespa, l'aria arguta di Bonolis, il sorriso di Christian De Sica (e non dirà che è bello come Boldi, spavaldo come Fantozzi, o - trattandosi di femmina - sexy come Sconsolata).
Ogni epoca ha i suoi miti. L'epoca in cui sono nato aveva come mito l'Uomo di Stato, quella in cui si nasce oggi ha come mito l'Uomo di Televisione. Con la consueta cecità della cultura di sinistra, si è intesa l'affermazione di Berlusconi (che i giornali non li legge nessuno mentre tutti vedono la televisione) come l'ultima delle sue gaffes insultanti. Non lo era, era un atto di arroganza, ma non una stupidaggine. Mettendo insieme tutte le tirature dei giornali italiani si raggiunge una cifra abbastanza derisoria rispetto a quella di coloro che guardano solo la televisione. Calcolando inoltre che solo una parte della stampa italiana conduce ancora una critica del governo in carica, e che l'intera televisione, Rai più Mediaset, è diventata la voce del potere, Berlusconi aveva sacrosantamente ragione. Il problema è controllare la televisione, e i giornali dicano quel che vogliono. Questo è un dato di fatto, ci piaccia o non ci piaccia, e i dati di fatto sono tali proprio perché sono indipendenti dalle nostre preferenze (ti è morto il gatto? è morto, ti piaccia o no). Sono partito da queste premesse per suggerire che nel nostro tempo, se dittatura ha da esserci, deve essere dittatura mediatica e non politica. È quasi cinquant'anni che si scriveva che nel mondo contemporaneo, salvo alcuni remoti Paesi del terzo mondo, per fare un colpo di stato non era più necessario allineare carri armati ma bastava occupare le stazioni radiotelevisive (l'ultimo a non essersene accorto è Bush, leader terzomondista arrivato per sbaglio a governare un Paese ad alto tasso di sviluppo). Ora il teorema è dimostrato. Per cui è sbagliato dire che non si può parlare di "regime" berlusconiano perché la parola "regime" evoca il regime fascista, e il regime in cui viviamo non ha le caratteristiche di quello del ventennio. Un regime è una forma di governo, non necessariamente fascista. Il fascismo metteva i ragazzi (e gli adulti) in divisa, eliminava la libertà di stampa e mandava i dissidenti al confino. Il regime mediatico berlusconiano non è così rozzo e antiquato. Sa che si controlla il consenso controllando i mezzi d'informazione più pervasivi. Per il resto non costa niente permettere a molti giornali (sino a che non li si possano acquistare) di dissentire. A che cosa serve mandare Biagi al confino, per farne magari un eroe? Basta non lasciarlo più parlare alla televisione. La differenza tra un regime "alla fascista" e un regime mediatico è che in un regime alla fascista la gente sapeva che i giornali e la radio comunicavano solo veline governative, e che non si poteva ascoltare Radio Londra, pena la galera. Proprio per questo sotto il fascismo la gente diffidava dei giornali e della radio, ascoltava radio Londra a basso volume, e dava fiducia solo alle notizie che pervenivano per mormorio, bocca bocca, maldicenza. In un regime mediatico dove, diciamo, il dieci per cento della popolazione ha accesso alla stampa di opposizione, e per il resto riceve notizie da una televisione controllata, da un lato vige la persuasione che il dissenso sia accettato ("ci sono giornali che parlano contro il governo, prova ne sia che Berlusconi se ne lamenta sempre, quindi c'è libertà"), dall'altro l'effetto di realtà che la notizia televisiva produce (se ho notizia di un aereo caduto è vera, tanto è vero che vedo i sandali dei morti galleggiare, e non importa se per caso sono i sandali di un disastro precedente, usati come materiale di repertorio), fa sì che si sappia e si creda solo quello che dice la televisione. Una televisione controllata dal potere non deve necessariamente censurare le notizie. Certamente, da parte degli schiavi del potere, appaiono anche tentativi di censura, come il più recente (per fortuna ex post, come dicono quelli che dicono "attimino" e "pole position"), per cui si giudica inammissibile che in una trasmissione televisiva si possa parlare male del capo del governo (dimenticando che in un regime democratico si può e si deve parlare male del capo del governo, altrimenti si è in regime dittatoriale). Ma questi sono solo i casi più visibili (e, se non fossero tragici, risibili). Il problema è che si può instaurare un regime mediatico in positivo, avendo l'aria di dire tutto. Basta sapere come dirlo. Se nessuna televisione dicesse quel che pensa Fassino sulla legge Tale, tra gli spettatori nascerebbe il sospetto che la televisione taccia qualcosa, perché si sa che da qualche parte esiste un'opposizione. La televisione di un regime mediatico usa invece quell'artificio retorico che si chiama "concessione". Facciamo un esempio. Sulla convenienza di tenere un cane ci sono all' incirca cinquanta ragioni pro e cinquanta ragioni contro. Le ragioni pro sono che il cane è il miglior amico dell'uomo, che può abbaiare se vengono i ladri, che sarebbe adorato dai bambini, eccetera. Le ragioni contro sono che bisogna portarlo ogni giorno a fare i suoi bisogni, che costa in cibo e veterinario, che è difficile portarlo con sé in viaggio e così via. Ammesso che si voglia parlare in favore dei cani, l'artificio della concessione è: "È vero che i cani costano, che rappresentano una schiavitù, che non si possono portare i viaggio" (e gli avversari dei cani vengono conquistati dalla nostra onestà), "ma occorre ricordare che sono una bellissima compagnia, adorati dai bambini, attenti contro i ladri eccetera". Questa sarebbe un'argomentazione persuasiva in favore dei cani. Contro i cani si potrebbe concedere che è vero che cani sono una compagnia deliziosa, che sono adorati dei bambini, che ci difendono dai ladri, ma dovrebbe seguire l'argomentazione opposta, che i cani però rappresentano una schiavitù, una spesa, un impaccio per i viaggi.
E questa sarebbe un'argomentazione persuasiva contro i cani.
La televisione procede in questo modo. Se si discute della legge Tale, la si enuncia poi si dà subito la parola all'opposizione, con tutte le sue argomentazioni. Quindi seguono i sostenitori del governo che obiettano alle obiezioni. Il risultato persuasivo è scontato: ha ragione chi parla per ultimo.
Seguite con attenzione tutti i telegiornali, e vedrete che la strategia è questa: mai che dopo l'enunciazione del progetto seguano prima i sostegni governativi e dopo le obiezioni dell'opposizione. Sempre il contrario. Un regime mediatico non ha bisogno di mandare in galera gli oppositori. Li riduce al silenzio, più che con la censura facendo sentire le loro ragioni per prime. Come si reagisce a un regime mediatico, visto che per reagirvi bisognerebbe avere quell'accesso ai media che il regime mediatico appunto controlla? Sino a che l'opposizione, in Italia, non saprà trovare una soluzione a questo problema e continuerà a dilettarsi di contrasti interni, Berlusconi sarà il vincitore, piaccia o non piaccia."
Vorrei riproporvi un articolo di Umberto Eco del 2004 dal blog Voglio Scendere per introdurre un tema importante: quello del monopolio del mezzo televisivo come mezzo di propaganda e indottrinamento del popolo, vera forza fondante del regime berlusconiano (o veltrusconiano?) dei giorni nostri.
È vero, l'influsso di internet, dei giornali, delle radio è assolutamente marginale oggi. "Dicano quello che vogliono" - sembra essere il motto di Arcore - perché il loro peso sommato è comunque minimale.
Ma allora che fare per controbattere il sistema monopolizzato della TV di regime? Che fare?
Per ora vi lascio la domanda aperta, in attesa di tornarci su in uno dei miei prossimi post. Certo è che noi bloggers dobbiamo trovare il modo di venire fuori da questo mondo digitale incompleto. Perché la società reale è la fuori, la società reale non è qui dentro.
Buona lettura del magnifico, quanto lungo articolo di Umberto Eco.
Le regole del potere nel regime mediatico
Umberto Eco, Repubblica gennaio 2004
"Una settimana fa ricorreva il mio compleanno e, con gli intimi venuti a festeggiarmi, ho rievocato il giorno della mia nascita. Benché dotato di eccellente memoria, quel momento non lo ricordo, ma ho potuto ricostruirlo attraverso i racconti che me ne facevano i miei genitori.
Pare dunque che, quando il ginecologo mi ha estratto dal ventre di mia madre, fatte tutte le cose che si debbono fare in tali casi, e presentatole il mirabile risultato delle sue doglie, abbia esclamato: "Guardi che occhi, sembra il Duce!". La mia famiglia non era fascista, così come non era antifascista - come tanta della piccola borghesia italiana prendeva la dittatura come un fatto meteorologico, se piove si esce con l'ombrello - ma certamente per un padre e per una madre sentirsi dire che il neonato aveva gli occhi del Duce era una bella emozione.
Ora, fatto scettico dagli anni, inclino a credere che quel buon ginecologo dicesse la stessa cosa a ogni madre e a ogni padre - e guardandomi nello specchio mi scopro piuttosto simile a un grizzly che non al Duce, ma non importa. I miei erano stati felici di apprendere che assomigliassi al Duce. Mi chiedo che cosa potrebbe dire un ginecologo adulatore oggi a una puerpera. Che il prodotto della sua gestazione assomiglia a Berlusconi? La piomberebbe in uno stato depressivo preoccupante. Per par condicio, assumo che nessun ginecologo sensibile direbbe alla puerpera che suo figlio appare paffuto come Fassino, simpatico come Schifani, bello come La Russa, intelligente come Bossi, o fresco come Prodi. Il ginecologo avveduto direbbe piuttosto che il neonato ha gli occhi penetranti di Bruno Vespa, l'aria arguta di Bonolis, il sorriso di Christian De Sica (e non dirà che è bello come Boldi, spavaldo come Fantozzi, o - trattandosi di femmina - sexy come Sconsolata).
Ogni epoca ha i suoi miti. L'epoca in cui sono nato aveva come mito l'Uomo di Stato, quella in cui si nasce oggi ha come mito l'Uomo di Televisione. Con la consueta cecità della cultura di sinistra, si è intesa l'affermazione di Berlusconi (che i giornali non li legge nessuno mentre tutti vedono la televisione) come l'ultima delle sue gaffes insultanti. Non lo era, era un atto di arroganza, ma non una stupidaggine. Mettendo insieme tutte le tirature dei giornali italiani si raggiunge una cifra abbastanza derisoria rispetto a quella di coloro che guardano solo la televisione. Calcolando inoltre che solo una parte della stampa italiana conduce ancora una critica del governo in carica, e che l'intera televisione, Rai più Mediaset, è diventata la voce del potere, Berlusconi aveva sacrosantamente ragione. Il problema è controllare la televisione, e i giornali dicano quel che vogliono. Questo è un dato di fatto, ci piaccia o non ci piaccia, e i dati di fatto sono tali proprio perché sono indipendenti dalle nostre preferenze (ti è morto il gatto? è morto, ti piaccia o no). Sono partito da queste premesse per suggerire che nel nostro tempo, se dittatura ha da esserci, deve essere dittatura mediatica e non politica. È quasi cinquant'anni che si scriveva che nel mondo contemporaneo, salvo alcuni remoti Paesi del terzo mondo, per fare un colpo di stato non era più necessario allineare carri armati ma bastava occupare le stazioni radiotelevisive (l'ultimo a non essersene accorto è Bush, leader terzomondista arrivato per sbaglio a governare un Paese ad alto tasso di sviluppo). Ora il teorema è dimostrato. Per cui è sbagliato dire che non si può parlare di "regime" berlusconiano perché la parola "regime" evoca il regime fascista, e il regime in cui viviamo non ha le caratteristiche di quello del ventennio. Un regime è una forma di governo, non necessariamente fascista. Il fascismo metteva i ragazzi (e gli adulti) in divisa, eliminava la libertà di stampa e mandava i dissidenti al confino. Il regime mediatico berlusconiano non è così rozzo e antiquato. Sa che si controlla il consenso controllando i mezzi d'informazione più pervasivi. Per il resto non costa niente permettere a molti giornali (sino a che non li si possano acquistare) di dissentire. A che cosa serve mandare Biagi al confino, per farne magari un eroe? Basta non lasciarlo più parlare alla televisione. La differenza tra un regime "alla fascista" e un regime mediatico è che in un regime alla fascista la gente sapeva che i giornali e la radio comunicavano solo veline governative, e che non si poteva ascoltare Radio Londra, pena la galera. Proprio per questo sotto il fascismo la gente diffidava dei giornali e della radio, ascoltava radio Londra a basso volume, e dava fiducia solo alle notizie che pervenivano per mormorio, bocca bocca, maldicenza. In un regime mediatico dove, diciamo, il dieci per cento della popolazione ha accesso alla stampa di opposizione, e per il resto riceve notizie da una televisione controllata, da un lato vige la persuasione che il dissenso sia accettato ("ci sono giornali che parlano contro il governo, prova ne sia che Berlusconi se ne lamenta sempre, quindi c'è libertà"), dall'altro l'effetto di realtà che la notizia televisiva produce (se ho notizia di un aereo caduto è vera, tanto è vero che vedo i sandali dei morti galleggiare, e non importa se per caso sono i sandali di un disastro precedente, usati come materiale di repertorio), fa sì che si sappia e si creda solo quello che dice la televisione. Una televisione controllata dal potere non deve necessariamente censurare le notizie. Certamente, da parte degli schiavi del potere, appaiono anche tentativi di censura, come il più recente (per fortuna ex post, come dicono quelli che dicono "attimino" e "pole position"), per cui si giudica inammissibile che in una trasmissione televisiva si possa parlare male del capo del governo (dimenticando che in un regime democratico si può e si deve parlare male del capo del governo, altrimenti si è in regime dittatoriale). Ma questi sono solo i casi più visibili (e, se non fossero tragici, risibili). Il problema è che si può instaurare un regime mediatico in positivo, avendo l'aria di dire tutto. Basta sapere come dirlo. Se nessuna televisione dicesse quel che pensa Fassino sulla legge Tale, tra gli spettatori nascerebbe il sospetto che la televisione taccia qualcosa, perché si sa che da qualche parte esiste un'opposizione. La televisione di un regime mediatico usa invece quell'artificio retorico che si chiama "concessione". Facciamo un esempio. Sulla convenienza di tenere un cane ci sono all' incirca cinquanta ragioni pro e cinquanta ragioni contro. Le ragioni pro sono che il cane è il miglior amico dell'uomo, che può abbaiare se vengono i ladri, che sarebbe adorato dai bambini, eccetera. Le ragioni contro sono che bisogna portarlo ogni giorno a fare i suoi bisogni, che costa in cibo e veterinario, che è difficile portarlo con sé in viaggio e così via. Ammesso che si voglia parlare in favore dei cani, l'artificio della concessione è: "È vero che i cani costano, che rappresentano una schiavitù, che non si possono portare i viaggio" (e gli avversari dei cani vengono conquistati dalla nostra onestà), "ma occorre ricordare che sono una bellissima compagnia, adorati dai bambini, attenti contro i ladri eccetera". Questa sarebbe un'argomentazione persuasiva in favore dei cani. Contro i cani si potrebbe concedere che è vero che cani sono una compagnia deliziosa, che sono adorati dei bambini, che ci difendono dai ladri, ma dovrebbe seguire l'argomentazione opposta, che i cani però rappresentano una schiavitù, una spesa, un impaccio per i viaggi.
E questa sarebbe un'argomentazione persuasiva contro i cani.
La televisione procede in questo modo. Se si discute della legge Tale, la si enuncia poi si dà subito la parola all'opposizione, con tutte le sue argomentazioni. Quindi seguono i sostenitori del governo che obiettano alle obiezioni. Il risultato persuasivo è scontato: ha ragione chi parla per ultimo.
Seguite con attenzione tutti i telegiornali, e vedrete che la strategia è questa: mai che dopo l'enunciazione del progetto seguano prima i sostegni governativi e dopo le obiezioni dell'opposizione. Sempre il contrario. Un regime mediatico non ha bisogno di mandare in galera gli oppositori. Li riduce al silenzio, più che con la censura facendo sentire le loro ragioni per prime. Come si reagisce a un regime mediatico, visto che per reagirvi bisognerebbe avere quell'accesso ai media che il regime mediatico appunto controlla? Sino a che l'opposizione, in Italia, non saprà trovare una soluzione a questo problema e continuerà a dilettarsi di contrasti interni, Berlusconi sarà il vincitore, piaccia o non piaccia."
1 commento:
Il quesito è davvero ottimo. Ma la risposta è ardua, oggi più che mai.
Questa oligarchia mediatica probabilmente può essere spezzata solamente da un innalzamento culturale. Ma perchè questo avvenga c'è bisogno di una spinta dall'alto, in linea di massimo.
Un Governo insomma che punti su istruzione, ricerca, sviluppo, tecnologia, senso civico e democratico.
Ovviamente questo è l'interesse opposto di questa classe dirigente, che verrebbe spazzata immediatamente via qualora l'informazione diventasse libera, la giustizia funzionasse in maniera efficiente, le persone disponessero di strumenti critici validi ...
Bravo, a presto. Wil
nonleggerlo.blogspot.com
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