"Non importa dove si nasce se si combatte per le stesse idee e si crede nelle stesse cose."
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mercoledì 2 luglio 2008

IL SILENZIO DEGLI INNOCENTI

Devo a Titti Monteleone l'input per esprimere il mio pensiero su questi anni.
Oggi sul blog di Storace lei mi ha invitato ad andare a leggere un articolo apparso sul Corriere della sera di oggi, primo di luglio.
Alla Titti non faccio fatica a riconoscere grandi doti morali, il sentimento puro all'appartenenza ad una idea che per i giovani della sua generazione e' stata un faro, una stella polare che ha orientato i loro destini, le loro vite, le loro incompiute speranze.
Per questo motivo ho eseguito il compito affidatomi, sono andato a comprare il giornale e ho letto di Ciavardini, di Merlino, delle loro vite che non potranno mai più essere "normali".
Ma non è di loro, in quanto persone, che mi sento di parlare - al loro cospetto io appaio poco più che un poppante, neanche degno di lustrare le scarpe di chi ha fatto di una idea un tutt'uno con la propria vita.
Nel '68 ero in fasce e quindi niente di quei giorni mi può appartenere, ma questa e' una analisi superficiale, perché noi siamo oggi ciò che i nostri padri sono stati ieri.
È un rimescolarsi continuo di destini e di incertezze, di vita e di morte, di paura e di amore.
Indagando quegli anni spesso mi sono sentito "un guardone", un curioso, uno fuori posto, ma alla fine ha prevalso in me la convinzione che l'essere estraneo a quei momenti potesse regalarmi una distaccata lucidità critica, una più asettica capacita' di analisi.
Di tutto questo non farò menzione qui, ora, nel caldo soffocante di una Roma immersa in una calura opprimente, stasera voglio parlare della FORZA.
Si, proprio lei, il motore immobile, la presenza oscura in grado di determinare la presa di coscienza di un popolo di giovani, di un popolo libero che per la prima volta prende consapevolezza della sua forza naturale e la volge a fini distruttivi pensando che dalle macerie potesse partire la ricostruzione di un nuovo ordine sociale.
Già E. Werner postulava "Il disordine come condizione dell’ordine nelle democrazie contemporanee" ma le mie riflessioni stasera sono un vestito buono per tutte le occasioni, vanno bene per gli estremisti rossi e per quelli neri.
Perché?
Mah, e' legato al fatto che rossi e neri erano solo ragazzi spinti dalla medesima FORZA, dallo stesso spirito di cambiamento.
Rossi e neri erano fratelli in quei momenti ed hanno il torto marcio di non averlo capito li', durante gli scontri, nella puzza di bruciato delle molotov, nel fragore delle camionette che accorrevano.
Non si sono dati piena e reciproca fiducia, non hanno riconosciuto compiutamente che il nemico non era l'altro colore politico ne' il militare con la divisa che si trovavano dinanzi.Quei giovani hanno una sola colpa: l'ingenuità.
Attori inconsapevoli di un gioco mille e mille volte piu' grande di loro, pedine di occulte manovre che sul loro sangue ha costruito l'impero del male, che oggi noi tutti viviamo.
Anna Mezzasoma nel suo libro "Budapest Roma Salò. Emozioni e ricorsi 1933-1945" aveva già delineato un asse, una linea di unione di destini così diversi ma accomunati solo dalla giovane età e dal fato avverso.
Lo stato repubblicano, la dittatura "democratica", aveva bisogno di nemici, aveva bisogno del sangue di vittime innocenti e di carnefici inconsapevoli.
Questi ragazzi sono stati usati, i loro ideali sono stati piegati e plasmati da ombre che si sono mosse sul confine del "probabile", sul filo di un rasoio dove sono stati molti a tagliarsi.
Il libretto rosso di Mao, oggi appare come un souvenir per turisti, un libricino bocciato dalla storia e dal mondo, oggi ha un'aria innocente, inoffensiva, mentre ieri ha spinto sangue puro al martirio.
Piango chi è di destra e chi è di sinistra, dinanzi alla viltà di uno stato incolore e insapore tutto raggomitolato a difendere la ragione primigenia della sua stessa esistenza; non riesco e non voglio scegliere chi è il rosso e chi è il nero.
Sento l'odore acre del sangue, il silenzio di giovani innocenti, strumenti acerbi di antiche trame.
A questi ragazzi, ai vivi, ai morti, agli incarcerati, a coloro che ad oggi ancora soffrono l'iter di una giustizia terrena che vorrebbe dire - e non può, perché i meccanismi del giusto e dell'ingiusto del legale e dell'illegale non sono mai stati parte integrante di questo gioco - mi sento di dover dire comunque GRAZIE.
Per l'esempio, per il cameratismo, per le botte che avete preso anche in vece nostra, per il senso di libertà e di dignità che abbiamo imparato a respirare per tramite vostro.
A noi rimane la FORZA , la vostra forza, il dono morale della vostra gioventù, l'obbligo non scritto di fare meglio dei nostri padri, lo stimolo a creare una società dove gli innocenti non siano più condannati al silenzio.
Grazie Titti, di cuore.
Probabilmente questa sera si sarebbe confusa nell'oblio di tante altre notti ma, grazie a te ha un sapore speciale.
FORZA E ONORE.

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